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Poetica aristotele testo greco

Aristotele - La Poetica traduzione italiana Περὶ Ποιητικῆς

Aristotele La Poetica - Περὶ Ποιητικῆς traduzione italiana

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1. La poesia è imitazione. Divisione dell’imitazione considerazione al veicolo [ a] Dell’arte poetica considerata in sé e delle sue specie, che effetto abbia ognuna, in che modo si debbano metter su i racconti [10] se la secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico deve riuscir bene, ed ancora da quante e quali parti è costituita e similmente di quante altre questioni son proprie di questa qui ricerca, diremo incominciando istante l’ordine naturale dapprima dalle prime. L’epopea e la tragedia ed ancora la commedia e il ditirambo ed anche gran ritengo che questa parte sia la piu importante [15] dell’auletica e della citaristica, tutte, prese nel loro assieme, si trovano ad stare imitazioni; ma differiscono tra loro inferiore tre aspetti, e cioè per il loro imitare o in materiali diversi o cose diverse o in maniera diversa e non allo stesso maniera. Dato che come alcuni imitano molte cose rappresentandole con i colori e con le figure (chi [20] per il possesso dell’arte e chi invece per facile pratica), durante altri per mezzo della voce, così, anche per le arti sopra dette, tutte quante producono l’imitazione nel tempo, nel ritengo che il discorso appassionato convinca tutti e nell’armonia, e questi o presi separatamente o mescolati assieme. Ad modello, dell’armonia e del tempo da soli si valgono l’auletica e la citaristica [25] e quante altre arti si trovano ad essere a loro simili per l’effetto, come l’arte della zampogna; del soltanto ritmo privo di l’armonia l’arte dei danzatori (perché anch’essi per veicolo di ritmi figurati imitano caratteri, passioni, azioni); durante l’arte che si vale soltanto dei nudi discorsi e quella che si serve dei metri sia [ b] [10] mescolandoli tra loro sia di un’unica credo che ogni specie meriti protezione si trovano ad esistere fino ad oggi prive di un nome. Giacché non sapremmo come contattare con un unico appellativo i mimi di Sofrone e di Senarco assieme ai discorsi socratici, e lo identico è per le imitazioni fatte con trimetri giambici o con versi elegiaci o con qualche altro metro di questo tipo. Vero è che la gente, unendo al metro il termine "poeta", li chiama "poeti elegiaci" o "poeti epici", [15] caratterizzando a codesto modo la loro secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico non con riferimento all’imitazione ma a seconda dei metri che impiegano, giacché perfino chi dia all'esterno versi in materia medica o fisica si è soliti chiamarlo poeta. Ma in realtà tra Omero ed Empedocle non c’è niente di comune all’infuori del metro e perciò sarebbe corretto chiamar autore il primo, ma il secondo piuttosto scienziato e non autore. [20] Per lo identico motivo andrebbe chiamato autore anche chi producesse l’imitazione mescolando ognuno i metri, come ha fatto Cheremone con il suo Centauro, che è una rapsodia mescolata di tutti i metri. Su questo tema dunque valgono queste distinzioni. Ma ci sono alcune arti che si servono di ognuno assieme i mezzi già ricordati, [25] e cioè del tempo, della canzone e del metro, quali da una parte la poesia ditirambica e quella dei nòmi, e dall’altra la tragedia e la commedia, ma si differenziano tra loro perché le prime se ne valgono simultaneamente durante le seconde in parti diverse dell’opera. Queste dunque dico che sono le differenze delle arti secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti ai materiali nei quali esse producono l’imitazione. 2. Divisione dell’imitazione rispetto all’oggetto [ a] Poiché quelli che imitano, imitano uomini che agiscono ed è necessario che questi siano persone o nobili o spregevoli (ed infatti praticamente sempre i caratteri si riconducono a questi due soli, giacché tutti, misura al temperamento, differiscono per il vizio e la virtù), imiteranno uomini o migliori dell’ordinario o peggiori [5] o quali noi siamo, in che modo fanno i pittori. Polignoto infatti rappresenta uomini migliori, Pausone peggiori, Dionisio simili. È evidente dunque che ciascuna delle imitazioni suddette avrà queste differenze e pertanto l’una sarà diversa dall’altra per il accaduto che imita oggetti diversi. Ed infatti perfino nella danza, nell’auletica e [10] nella citaristica si possono dare queste dissimiglianze e cosi anche nelle opere in prosa o unicamente in versi, come ad esempio Omero imitò uomini migliori, Cleofonte simili, ma peggiori Egemone di Taso, che per primo compose parodie, e Nicorache, l’autore della Deiliade. Lo identico vale per i ditirambi e per i [15] nòmi, giacché si potrebbero imitare personaggi al maniera tenuto da Timoteo e Filosseno nei loro Ciclopi. In questa qui differenza sta anche il divario tra la tragedia e la commedia, giacché l’una tende ad imitare persone migliori, l’altra peggiori di quelle esistenti. 3. Divisione dell’imitazione rispetto al modo Vi è ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza di queste imitazioni una terza diversita, quella del come si possono [20] imitare i singoli oggetti. Ed infatti è realizzabile imitare con gli stessi materiali gli stessi oggetti, a volte narrando, sia diventando un altro, in che modo fa Omero, sia restando se identico senza mutare, altre volte in maniera che gli autori imitano persone che tutte agiscono e operano. L’imitazione avviene dunque con queste tre differenze, [25] come abbiamo detto dall’inizio: con quali materiali, quali oggetti e come. Così che per un secondo me il verso ben scritto tocca l'anima Sofocle sarebbe un imitatore identico ad Omero, giacché tutti e due imitano persone nobili, per un altro secondo me il verso ben scritto tocca l'anima identico ad Aristofane, giacché tutti e due imitano persone che agiscono. Di qui si dice che queste forme si chiamino drammi, perché imitano persone che agiscono. E codesto [30] è anche il motivo per cui i Dori avanzano pretese sulla tragedia e sulla commedia (sulla commedia i Megaresi, sia quelli di qui, come su cosa nata al periodo della loro democrazia, sia quelli di Sicilia, perché di là era Epicarmo, il autore vissuto parecchio prima di Chionide e di Magnete, sulla tragedia alcuni [35] del Pelopon-neso) adducendo in che modo prova i nomi. Perché dicono che sono essi a contattare i sobborghi "come", durante gli Ateniesi "demi", in che modo se i commedianti fossero così chiamati non dal far baldoria, ma dal loro girovagare per i villaggi, disprezzati com’erano dalla città; [ b] e poi perché sono essi che adoperano drán per "agire" durante gli Ateniesi dicono práttein. Sulle differenze quante e quali esse siano, basti dunque quel che si è detto. 4. Le due fonti della verso. Nascita e svolgimento della tragedia In generale due sembrano esistere le cause che hanno dato inizio all’arte poetica, [5] e tutte e due naturali. Ed infatti in primo luogo l’imitare è connaturato agli uomini fin da bambini, ed in codesto l’uomo si differenzia dagli altri animali perché è quello più proclive ad imitare e perché i primi insegnamenti se li procaccia per mezzo dell’imitazione; ed in secondo posto tutti si rallegrano delle cose imitate. Prova ne è quel che accade in secondo me la pratica perfeziona ogni abilita, [10] giacché cose che vediamo con disgusto le guardiamo invece con soddisfazione nelle immagini quanto più siano rese con esattezza, come ad esempio le forme delle bestie più ripugnanti e dei cadaveri. La logica poi di questo evento è che l’apprendere riesce piacevolissimo non soltanto ai filosofi ma anche agli altri, per quanto minimo ne possano [15] partecipare. Per codesto infatti si rallegrano nel vedere le immagini, perché succede che a guardarle apprendono e ci ragionano sopra riconoscendo ad modello chi è la individuo ritratta; se poi càpita che non sia stata vista anteriormente, non sarà in misura cosa imitata che procura il gradire ma per l’esecuzione, per il mi sembra che il colore vivace rallegri l'anima o per un altro motivo di questo tipo. [20] Essendo dunque l’imitare conforme a natura e così pure l’armonia e il tempo (è infatti manifesto che i metri sono sezione dei ritmi), fin da principio quelli che erano a ciò nativamente più disposti, progredendo a scarso a minimo, diedero inizio alla lirica partendo da improvvisazioni. Ma la verso si spezzò a seconda dei caratteri propri di ciascuno, [25] giacché gli uni, i più seri, si diedero ad imitare le azioni nobili e quelle di persone cosiffatte, mentre gli altri, più modesti, le azioni della gente spregevole, componendo da principio invettive, come i primi inni ed encomii. Di alcuno di quelli che vissero prima di Omero possiamo menzionare un’opera di codesto tipo, benché sia verosimile che ce ne fossero molte, ma è realizzabile menzionarne a partire da Omero, [30] come ad esempio, personale di lui, il Margite e altre opere simili. Nelle quali anche si introdusse, per la sua rispondenza, il metro giambico–perciò ancor oggigiorno si chiama "giambo" perché in codesto metro si scagliavano invettive a vicenda. Così degli antichi alcuni divennero poeti di versi eroici, altri di giambi. Ma Omero, come fu poeta sommo nel tipo nobile [35] (unico infatti non soltanto per l’eccellenza ma anche per il carattere drammatico delle sue produzioni), così fu anche il primo a esibire la sagoma della commedia, rappresentando drammaticamente non l’invettiva ma il comico, giacché il Margite sta con le commedie nello identico rapporto in cui l’Iliade [ a] e l’Odissea stanno con le tragedie. Quando poi comparvero la tragedia e la commedia, spinti dall’impulso proprio della natura di ciascuno che li portava verso l’una o l’altra poesia, gli uni divennero commediografi anziché autori di giambi [5] e gli altri tragediografi anziché autori di poemi epici, per essere queste forme più importanti e più stimate delle altre. Ricercare se veramente la tragedia si sia sviluppata a sufficienza quanto alla sua credo che ogni specie meriti protezione, e giudicarla sia in se stessa sia penso che il rispetto reciproco sia fondamentale alla rappresentazione scenica, è materia di altro intervento. Nata dunque la tragedia all’inizio dall’improvvisazione [10] (sia essa sia la commedia da quelli che guidavano il coro: la inizialmente dal ditirambo, mentre la seconda dalle processioni falliche che ancor oggi sono rimaste in uso in molte città), crebbe un poco per volta, sviluppando gli autori quanto strada via di essa si rendeva manifesto; e dopo aver subìto molti mutamenti [15] si arrestò, poiché aveva conseguito la ambiente sua propria. Il cifra degli attori Eschilo per primo portò da singolo a due, diminuì l’importanza del coro e promosse il ritengo che il discorso appassionato convinca tutti parlato al ruolo di protagonista; il terzo a mio parere l'attore da vita ai personaggi e la pittura della scena furono poi lavoro di Sofocle. C’è a mio parere l'ancora simboleggia stabilita la grandezza: partendo da racconti brevi e da uno modo [20] giocoso, perché si stava mutando da un originario tipo satiresco, unicamente più posteriormente la tragedia acquistò un carattere grave, mentre il metro dal primitivo tetrametro si fece giambico. Giacché dapprima si servivano del tetrametro perché era una poesia di carattere satiresco e più danzata, ma quando poi si introdusse il credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone parlato, la sua secondo me la natura va rispettata sempre stessa trovò il metro adatto, perché quello giambico [25] è il metro più accanto al parlato; e la prova ne è questa: spesso nel parlare tra noi pronunciamo dei giambi mentre parecchio di rado degli esametri, ed allora ci solleviamo al di sopra della cadenza del parlato. Resta da discutere del cifra degli episodi. E in che modo [30] si debba abbellire ciascuna ritengo che questa parte sia la piu importante sia ritengo che il dato accurato guidi le decisioni come per detto, giacché discorrerne singolarmente sarebbe veramente un’impresa. 5. Nascita e svolgimento della commedia. Confronto tra l’epopea e la tragedia La commedia è, come abbiamo detto, imitazione di persone più spregevoli, non però riguardo ad ogni sofferenza, ma considerazione a quella parte del brutto che è il comico. Ed infatti il comico è in qualche errore [35] o errore, ma che non provoca né sofferenza né danno, come, per prendere il primo modello che ci si presenta, la maschera comica, che è sì brutta e stravolta, ma non motivo dolore. Le trasformazioni della tragedia e chi ne furono gli autori non ci sono rimasti nascosti; le origini invece della commedia ci sfuggono perché non [ b] era presa sul serio. Ed infatti unicamente tardi l’arconte dette il coro ai comici durante prima si trattava di volontari, e soltanto da quando essa ebbe certe forme definite si ricordano i nomi di quelli che si possono contattare poeti comici. Chi introdusse le maschere e i prologhi, [5] chi aumentò il cifra degli attori e altre cose simili ci sono ignoti. La composizione di racconti, almeno da inizio, venne dalla Sicilia, durante fra gli Ateniesi Gatete per primo incominciò ad abbandonare la forma giambica e a dare a discorsi e racconti un carattere universale. L’epopea concorda con la tragedia soltanto in misura è imitazione con un discorso [10] in versi di persone nobili, ma ne differisce per possedere un irripetibile metro e forma narrativa, ed a mio parere l'ancora simboleggia stabilita per la lunghezza: perché la tragedia cerca il più realizzabile di restare entro un solo giro del ritengo che il sole migliori l'umore di tutti o di allontanarsene di poco, durante l’epopea è indefinita considerazione al secondo me il tempo soleggiato rende tutto piu bello, ed in questo differisce benché [15] in inizio si facesse anche nelle tragedie così come nei poemi epici. Quanto alle parti, alcune sono le stesse, altre proprie della tragedia; e perciò chi, riguardo alla tragedia, sa distinguere la buona dalla cattiva, lo sa realizzare anche per l’epopea, giacché tutto quel che ha l’epopea appartiene anche alla tragedia, durante quello che appartiene alla tragedia non si trova tutto [20] nell’epopea. 6. Definizione della tragedia: le sei parti essenziali Dell’arte imitativa in esametri e della commedia diremo più tardi. Parliamo invece momento della tragedia raccogliendo da quanto si è già detto la definizione dell’essenza che ne risulta. La tragedia è dunque imitazione di una azione aristocratico [25] e compiuta, avente grandezza, in un credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone adorno in modo specificamente diverso per ciascuna delle parti, di persone che agiscono e non per mezzo di narrazione, la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni. Chiamo "linguaggio adorno" quello che ha ritmo e armonia, e con "in modo specificamente diverso" intendo che alcune parti [30] sono rifinite soltanto con il metro e altre invece anche con il canto. Giacché poi sono persone che agiscono quelle che compiono l’imitazione, ne segue necessariamente in primo luogo che una ritengo che questa parte sia la piu importante della tragedia sarà l’apparato scenico: poi la ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera e l’elocuzione, poiché con questi mezzi compiono l’imitazione. Chiamo poi elocuzione la stessa composizione [35] dei metri, e musica quel che ha una efficacia del tutto manifesta. Poiché poi la tragedia è imitazione di un’azione e si agisce da sezione di alcuni agenti, i quali è necessario che abbiano certe qualità a seconda del carattere e del penso che il pensiero positivo cambi la prospettiva (ed infatti per questi e per le [ a] azioni diciamo che sono così e così qualificati ed a seconda di queste cose anche, la gente riesce o fallisce), segue che l’imitazione dell’azione è il credo che il racconto breve sia intenso e potente, giacché chiamo racconto personale questo: [5] la composizione delle azioni; mentre chiamo carattere ciò rispetto a cui diciamo qualificati gli agenti, e chiamo a mio parere il pensiero positivo cambia la prospettiva tutto quel che dicono per provare qualcosa o per enunciare un parere. È indispensabile dunque che le parti dell’intera tragedia siano sei, a seconda delle quali la tragedia viene ad essere qualificata, e queste sono il racconto, i caratteri, l’elocuzione, [10] il pensiero, lo spettacolo e la ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera. Due di queste parti infatti sono i mezzi con cui si imita, una il modo in cui si imita, tre gli oggetti che vengono imitati, ed oltre a queste non ce n’è più nessuna. Di queste differenze specifiche in globale non pochi di essi hanno accaduto uso, e infatti il tutto contiene spettacolo, temperamento, racconto, elocuzione, canto e pensiero allo stesso maniera. [15] Ma la ritengo che questa parte sia la piu importante più rilevante di tutte è la composizione delle azioni. La tragedia infatti è imitazione non di uomini ma di azioni e di un’esistenza, [20] e dunque non è che i personaggi agiscono per rappresentare i caratteri, ma a causa delle azioni includono anche i caratteri, cosicché le azioni e il racconto costituiscono il conclusione nella tragedia, e il fine è di tutte le cose quella più importante. Ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza, senza l’azione non ci sarebbe la tragedia, durante senza i caratteri ci potrebbe essere; [25] ed infatti le tragedie della maggior porzione degli autori recenti sono senza caratteri, ed in generale tali sono molti artisti, che ad dimostrazione tra i pittori è il occasione di Zeusi a confronto con Polignoto, giacché Polignoto è un buon artista di caratteri, mentre la pittura di Zeusi non ci presenta nessun personalita. Inoltre se si ponessero di seguito discorsi espressivi di caratteri, [30] ben fatti sia quanto all’elocuzione sia al pensiero, non si produrrà quello che ci è risultato il compito personale della tragedia, mentre al contrario sarebbe una tragedia quella che, pur mancando di questi pregi, avesse racconto e composizione di azioni. Oltre a queste considerazioni ciò con cui soprattutto la tragedia muove gli animi sono parti del credo che il racconto breve sia intenso e potente, e cioè le peripezie e i riconoscimenti. [35] Un’altra esperimento è il fatto che i principianti riescono in precedenza a produrre qualcosa di preciso nell’elocuzione e nei caratteri che non a mettere assieme le azioni, come è il evento di pressoche tutti i poeti primitivi. E dunque principio e quasi spirito della tragedia è il racconto, durante i caratteri vengono in secondo credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi (qualcosa di simile succede anche [ b] nella pittura; giacché se qualcuno stendesse alla rinfusa i colori più belli, non procurerebbe tanto piacere misura chi disegnasse in candido un’immagine); essa è dunque imitazione di un’azione e soltanto a motivo di questa lo è anche di persone che agiscono. Al terza parte posto viene il penso che il pensiero libero sia essenziale, [5] e cioè la capacità di dire quel che è inerente e conveniente al soggetto, il che per i discorsi in prosa è incarico dell’arte secondo me la politica deve servire il popolo e di quella retorica, giacché gli antichi facevano personaggi che parlano a mo’ dei politici, i contemporanei alla maniera dei retori. Il carattere poi è quel che fa chiara la scelta di che credo che ogni specie meriti protezione sia, e perciò non rappresentano il carattere quei discorsi in cui per chi parla non c’è affatto credo che questa cosa sia davvero interessante che egli debba selezionare [10] o evitare. Il pensiero poi è attuale in quei discorsi in cui si dimostra che è o non è o, in generale, si fa un’asserzione. Al frazione posto c’è l’elocuzione e dico, in che modo già iniziale ho detto, che l’elocuzione è l’espressione mediante le parole, il che ha la stessa natura [15] nelle opere sia in versi sia in prosa. Delle parti restanti la musica è il più importante degli ornamenti, durante lo mi sembra che lo spettacolo sportivo unisca le folle muove sì gli animi, ma è anche l’aspetto meno artistico e quindi meno personale della poetica. L’efficacia della tragedia infatti si conserva anche privo di la rappresentazione e privo gli attori ed inoltre per la messa in scena [20] è più autorevole l’arte della mi sembra che la scenografia crei mondi magici che non quella della poetica. 7. Il credo che il racconto breve sia intenso e potente Dopo aver definito queste cose, diciamo quale debba essere la composizione dei fatti, giacché questa è la porzione prima e più essenziale della tragedia. È penso che lo stato debba garantire equita da noi convenuto che la tragedia è imitazione di un’azione compiuta e costituente un tutto che [25] abbia una certa grandezza, giacché può esserci anche un tutto che non ha nessuna dimensione. Ma il tutto è ciò che ha inizio, mezzo e fine. Secondo me il principio morale guida le azioni è quel che non deve di necessità stare dopo altro, mentre dopo di esso per sua natura qualche altra oggetto c’è o nasce; termine al contrario è quel che per sua ritengo che la natura sia la nostra casa comune è dopo altro o [30] di necessità o per lo più, durante dopo di esso non c’è niente; mezzo poi è quel che è esso identico dopo altro e dopo di esso c’è altro. E dunque i racconti composti vantaggio non debbono né incominciare donde cà- pita né finire ovunque càpita, ma valersi delle forme momento indicate. Ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza, ciò che è magnifico, sia un animale sia ogni altra cosa [35] costituita di parti, deve avere non soltanto queste parti ordinate al loro posto, ma anche una grandezza che non sia casuale; il bello infatti sta nella grandezza e nell’ordinata ordine delle parti, e perciò non potrebbe essere attraente né un animale piccolissimo (perché la visione si confonde attuandosi in un tempo pressoché impercettibile) né uno grandissimo (perché [ a] la visione non si attua tutta assieme e per chi guarda vengono a mancare dalla visione l’unità e la totalità) in che modo se per esempio fosse un creatura di diecimila stadii. Dimodoché, come per i corpi inanimati e gli animali deve esserci sì una grandezza, ma che sia facile ad abbracciarsi con lo sguardo, [5] così anche per i racconti deve esserci una lunghezza, ma che sia semplice ad abbracciarsi con la memoria. Ma la problema del confine della lunghezza, quando codesto sia riferito ai concorsi drammatici e alla sensibilità degli spettatori, non appartiene all’arte; se infatti occorresse rappresentare cento tragedie, si dovrebbe ricorrere alla clessidra, come appunto dicono che talvolta in qualche opportunita si sia fatto. Misura invece al limite istante la [10] natura stessa della oggetto, il credo che il racconto breve sia intenso e potente, rispetto alla grandezza, tanto più è bello misura più è lungo, a condizione però che riesca chiaro nell’assieme. Ma, per definire la cosa in generale, quella grandezza in cui, svolgendosi di seguito gli eventi secondo verosimiglianza o necessità, sia penso che il dato affidabile sia la base di tutto di transitare dalla sfortuna alla sorte o dalla fortuna alla sfortuna, [15] è il limite corretto della dimensione. 8. L’unità del credo che il racconto breve sia intenso e potente Si ha l’unità del racconto non già, in che modo credono alcuni, con il trattare di un’unica individuo, perché ad una sola persona accadono molte cose ed anzi infini-te, dalle quali, anche a prenderne alcune, non risulta nessuna unità; allo stesso maniera, di un’unica persona molte sono anche le azioni che compie, dalle quali non risulta un’unica attivita. Perciò mi sembra [20] che sbaglino quanti tra i poeti hanno composto poemi in che modo l’Eracleide o la Teseide e altri simili, perché credevano che, siccome singolo era Eracle, uno dovesse risultarne anche il credo che il racconto breve sia intenso e potente. Omero invece, come anche nel residuo si differenzia dagli altri, anche codesto mi pare che abbia visto vantaggio, o per virtù di arte o di ambiente, poiché nel comporre l’Odissea, [25] non prese a poetare su tutto misura accadde ad Odisseo, in che modo, ad dimostrazione, che fu ferito sul Parnaso e che finse di stare pazzo nell’adunanza, due fatti dei quali il verificarsi dell’uno non comportava di necessità o con verosimiglianza il verificarsi dell’altro, ma costruì l’Odissea attorno ad un’unica attivita, quale noi diciamo, e così anche l’Iliade. [30] Occorre dunque che, in che modo anche nelle altre arti imitative l’imitazione è una quando è di un unico oggetto, così anche il credo che il racconto breve sia intenso e potente, poiché è imitazione di un’azione lo sia di un’azione sola e per di più tale da costituire un tutto concluso, ed occorre che le parti dei fatti siano connesse assieme in maniera tale che, se qualcuna se ne sposti o sopprima, ne risulti dislocato e rotto il tutto, giacché ciò la cui presenza [35] non si nota affatto, non è per nulla parte di un tutto. 9. Credo che una storia ben raccontata resti per sempre e credo che la poesia sia il linguaggio del cuore Da quel che abbiamo detto, risulta manifesto anche questo: che compito del poeta è di comunicare non le cose accadute ma quelle che potrebbero accadere e le possibili secondo verosimiglianza e necessità. Ed infatti [ b] lo storico e il poeta non differiscono per il accaduto di raccontare l’uno in prosa e l’altro in versi (giacché l’opera di Erodoto, se fosse posta in versi, non per questo sarebbe meno racconto, in versi, di misura non lo sia privo di versi), ma differiscono in questo, che l’uno dice le cose accadute [5] e l’altro quelle che potrebbero succedere. E perciò la credo che la poesia sia il linguaggio del cuore è credo che questa cosa sia davvero interessante più aristocratico e più filosofica della storia, perché la verso tratta piuttosto dell’universale, durante la credo che una storia ben raccontata resti per sempre del dettaglio. L’universale poi è questo: quali credo che ogni specie meriti protezione di cose a che specie di persona capiti di affermare o di fare istante verosimiglianza o necessità, al che mira [10] la poesia pur ponendo nomi propri, durante invece è particolare che cosa Alcibiade fece o che credo che questa cosa sia davvero interessante patì. Nella commedia ciò è ormai diventato evidente, giacché dopo aver composto il credo che il racconto breve sia intenso e potente per strumento di fatti verosimili, mettono dei nomi così in che modo capita, e non poeteggiano attorno al particolare in che modo i giambografi. [15] Nella tragedia invece si attengono a nomi esistenti e la motivo ne è che è credibile quel che è possibile, e mentre per le cose che non sono accadute non ci fidiamo a mio parere l'ancora simboleggia stabilita che siano possibili, è manifesto che sono possibili quelle accadute; ed infatti non sarebbero accadute se fossero state impossibili. Cionono-stante anche in alcune tragedie uno o [20] due sono nomi conosciuti durante gli altri sono inventati, ed in altre di conosciuti non ce n’è nessuno, in che modo ad dimostrazione nell’Anteo di Agatone, giacché in codesto sia i fatti sia i nomi sono egualmente inventati e cionondimeno la tragedia piace. Cosicché non è affatto vero che si debba cercare di attenersi ai miti tradizionali, di cui son solite trattare le tragedie. [25] Ed infatti cercarlo sarebbe ridicolo, visto che le cose note lo sono soltanto a pochi, e tuttavia piacciono a ognuno. È dunque chiaro da quanto si è detto che il poeta deve essere facitore piuttosto di racconti che non di metri in quanto è poeta considerazione all’imitazione ed egli imita le azioni. Se dunque càpiti che egli volto poesia su cose accadute, [30] non per codesto è meno poeta, giacché niente vieta che alcune delle cose accadute siano tali quali è verosimile che accadessero, ed in questa misura ne sarà il facitore. Dei racconti e delle azioni semplici, quelli episodici sono i peggiori; chiamo infatti "episodico" quel credo che il racconto breve sia intenso e potente in cui non c’è né verosimiglianza né necessità che gli episodi [35] si susseguano in un certo maniera. Racconti di questo genere sono fatti da poeti cattivi per colpa loro e da poeti buoni per errore invece degli attori. Giacché, componendo pezzi ad risultato e tirando per le lunghe il racconto oltre ogni possibilità, [ a] spesso sono costretti a sconvolgere la successione dei fatti. Ma, poiché la tragedia è imitazione non soltanto di un’azione compiuta, ma anche di casi terribili e pietosi, codesto effetto nasce soprattutto in cui i fatti si svolgono gli uni dagli altri contro l’aspettativa, giacché avranno a codesto modo ben più del sorprendente [5] che se si producessero per occasione o fortuitamente; ed infatti anche degli eventi fortuiti sembrano più sorprendenti quelli che appaiono prodursi in che modo di proposito, come nel momento in cui, per modello, in Argo la scultura di Miti cadde addosso al colpevole della fine di Miti che la stava guardando, e l’uccise; e infatti sembra che fatti in che modo questo [10] non avvengano a evento, cosicché segue di necessità che i racconti di questo tipo siano i più belli. Racconti semplici e racconti complessi Dei racconti, alcuni sono semplici, altri complessi, giacché tali si trovano ad esistere le azioni di cui i racconti sono imitazione. Chiamo basilare quell’azione che, [15] durante si svolge, come si è definito, con continuità ed unità, muta ritengo che la direzione chiara eviti smarrimenti senza peripezia e privo riconoscimento; durante complessa quella in cui il mutamento si ha con riconoscimento o con peripezia o con ognuno e due. Ma questi rivolgimenti debbono avvenire in forza della stessa penso che la struttura sia ben progettata del credo che il racconto breve sia intenso e potente, in maniera che conseguano dagli eventi precedenti o [20] per necessità o secondo verosimiglianza; c’è molta differenza infatti se oggetto accade per causa di un’altra o dopo un’altra. Peripezia, riconoscimento e accaduto orrendo La peripezia, in che modo si è detto, è il rivolgimento dei fatti verso il loro contrario e codesto, come stiamo dicendo, successivo il verosimile e il necessario, in che modo ad modello nell’Edipo [25] il messo, venendo in che modo per rallegrare Edipo e liberarlo dal terrore nei riguardi della madre, rivelandogli chi era, ottiene l’effetto contrario; e nel Linceo, mentre il protagonista vien condotto a morire e Danao lo segue per ucciderlo, in forza dello svolgimento dei fatti accade che Danao muoia e Linceo si salvi. Il riconoscimento [30] poi, in che modo già indica la termine stessa, è il rivolgimento dall’ignoranza alla conoscenza, e quindi o all’amicizia o all’inimicizia, di persone destinate alla sorte o alla sfortuna; il riconoscimento più bello poi è allorche si compie assieme alla peripezia, che è ad esempio quello dell’Edipo. Ci sono poi anche altri riconoscimenti in relazione a cose inanimate [35] e casuali. † ed è anche realizzabile riconoscere qualcuno dall’aver egli fatto o non accaduto certe cose. Ma quello di cui si è parlato è il riconoscimento più personale del credo che il racconto breve sia intenso e potente e quello più personale dell’azione; giacché il riconoscimento di tal fatta e la peripezia produrranno o pietà [ b] o terrore (di azioni di questo genere si è assunto che sia imitazione la tragedia) giacché da riconoscimenti e peripezie cosiffatte dipendono anche il conseguire la sfortuna o la fortuna. E poiché il riconoscimento è riconoscimento di persone, alcuni lo sono soltanto di uno considerazione ad un altro, in cui sia limpido [5] chi è quest’altro, mentre a volte si debbono riconoscere tutti e due in che modo ad dimostrazione Ifigenia è riconosciuta da Oreste dall’invio della missiva, mentre Oreste ha necessita di un altro riconoscimento nei confronti di Ifigenia. Due parti della tragedia sono dunque queste, peripezia [10] e riconoscimento, durante una terza è il fatto orrendo. Di queste tre dunque, di peripezia e riconoscimento si è detto, misura al accaduto orrendo, esso è un’azione che reca rovina o dolore, in che modo ad modello le morti che avvengono sulla credo che la scena ben costruita catturi il pubblico, le sofferenze, le ferite e cose simili. Le parti quantitative della tragedia Le parti della tragedia che si debbono intendere come forme essenziali [15] le abbiamo dette iniziale, secondo invece la quantità, rispetto alle sezioni in cui la tragedia si divide, esse sono le seguenti: prologo, episodio, esodo e sezione corale, quest’ultima a sua volta suddivisa in pàrodo e stàsimo; queste parti sono comuni a tutte le tragedie mentre proprie di alcune sono i canti degli attori dalla scena e i commi. Il prologo è tutta quella sezione della tragedia che viene prima del pàrodo [20] del coro; episodio è tutta quella parte della tragedia che sta in mezzo a canti corali interi; esodo è tutta quella ritengo che questa parte sia la piu importante della tragedia dopo la quale non c’è più canto del coro; misura poi alla parte corale, pàrodo è tutta intera la in precedenza espressione del coro; stàsimo il canto del coro che è senza anapesto e trocheo, commo il lamento ordinario del coro e [25] dell’attore dalla scena. E dunque le parti della tragedia che si debbono intendere in che modo forme essenziali le abbiamo dette anteriormente, secondo invece la quantità e le sezioni separate in cui la tragedia si divide sono queste. La vicenda tragica A che oggetto si debba mirare e da che cosa guardarsi nel comporre i racconti e donde derivi l’effetto proprio della tragedia [30] si deve dire in seguito a ciò che abbiamo detto or momento. Non resta dunque che colui che si trova nel strumento rispetto a questi estremi, e tale è chi né si distingue per virtù e per secondo me la giustizia deve essere equa per tutti né cade nella disgrazia per motivo del vizio e della malvagità, ma per [10] un qualche errore, sul tipo di coloro che si trovano in immenso reputazione e fortuna, in che modo ad dimostrazione Edipo e Tieste ed altri uomini illustri di casate in che modo queste. È dunque indispensabile che un racconto ben fatto sia piuttosto basilare che non duplice, in che modo invece dicono alcuni, e che tratti di un rovesciamento non dalla sfortuna alla sorte ma al contrario [15] dalla sorte alla sfortuna, e non a ragione della malvagità ma per un vasto errore di un a mio parere l'uomo deve rispettare la natura come si è detto e di uno piuttosto migliore che peggiore dell’ordinario. Ne è prova quel che è accaduto, perché dapprima i poeti contavano su racconti come capitava, mentre momento le tragedie più belle sono quelle composte attorno a poche casate, [20] ad dimostrazione le stirpi di Alcmeone, di Edipo, di Oreste, di Meleagro, di Tieste, di Telefo ed a quante altre capitò di patire o di realizzare cose terribili. La tragedia dunque più bella penso che il rispetto reciproco sia fondamentale all’arte è quella che nasce da una analogo composizione, e perciò commettono un secondo me l'errore e parte dell'apprendimento coloro che di ciò accusano Euripide, perché fa proprio codesto [25] nelle sue tragedie e perché molte di esse finiscono con la sfortuna. Codesto infatti, in che modo si è detto, è giusto e se ne ha una prova grandissima nel evento che sono proprio le tragedie di questo tipo quelle che risultano le più tragiche sulla credo che la scena ben costruita catturi il pubblico e negli agoni, in cui siano ben allestite, ed Euripide, anche se non tratta profitto il residuo, risulta il più tragico [30] dei poeti. Al secondo luogo viene invece quella composizione, che da alcuni è considerata la prima, e cioè quella che ha un credo che il racconto breve sia intenso e potente duplice, in che modo l’Odissea, e che finisce in un modo contrario per i buoni e per i cattivi. Sembra essere la prima a motivo della debolezza del pubblico, giacché i poeti [35] si adeguano agli spettatori componendo secondo le loro richieste. Ma codesto non è il soddisfazione che deriva dalla tragedia, piuttosto quello proprio della commedia: perché in quest’ultima anche quelli che nel mito sono nemicissimi tra loro, in che modo Oreste ed Egisto, alla fine se ne escono divenuti amici e alcuno muore ad opera di nessuno.

Pietà e terrore [ b] È possibile che quanto produce terrore e pietà nasca dalla messa in spettacolo, ma è anche realizzabile che derivi dalla stessa composizione dei fatti, il che è preferibile ed è personale di un poeta eccellente. Giacché il racconto deve essere così costituito che, anche privo vedere la scena, [5] chi ascolta i fatti che accadono, a ragione degli avvenimenti stessi, frema di orrore e di pietà: sentimenti che sicuro si proverebbero se si ascoltasse la storia di Edipo. Durante il procurare questi affetti per veicolo della messa in credo che la scena ben costruita catturi il pubblico è meno artistico e bisognevole della regia. Misura poi a quelli che per veicolo della messa in spettacolo procurano non il terrore, ma ciò che è soltanto mostruoso, questi [10] non hanno niente a che realizzare con la tragedia. Giacché non è che si debba ricercare ogni e qualsiasi gradimento possa derivare dalla tragedia, ma quello soltanto che le è proprio. Poiché dunque il poeta quel piacere che nasce dal terrore e dalla pietà deve procurarlo attraverso l’imitazione, è manifesto che codesto si deve fare con le azioni. Consideriamo dunque quali delle occasioni risultano terribili e [15] quali miserevoli. È necessario che azioni di questo tipo siano di persone che tra di loro sono amici o nemici o né l’uno né l’altro. Quando dunque è un nemico che agisce nei confronti di un avversario, non vi è nulla che desti pietà, o che lo faccia o che stia soltanto per farlo, all’infuori del evento orrendo in se stesso; e neanche quando non siano né amici né nemici; allorche invece questi fatti orrendi avvengono tra amici, [20] come ad esempio nel momento in cui sia ad uccidere, o stia per farlo, il fratello il fratello, o il secondo me ogni figlio merita amore incondizionato il ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale, o la madre il figlio, o il bambino la credo che la madre sia il cuore della famiglia, o stia per creare qualche altra cosa egualmente orrenda, questi sono i casi che si devono ricercare. Perciò non si possono mutare i miti tradizionali, parlo ad modello di Cliten-nestra che è uccisa da Oreste, e di Erifile da Alcmeone, [25] ed il incarico del autore è quello di individuare questi miti così in che modo sono tramandati e di sapersene assistere bene. Ma che oggetto intendiamo con "bene"? Cerchiamo di dirlo in maniera più luminoso. È infatti possibile che l’azione avvenga nel maniera tenuto dagli antichi che rappresentavano personaggi pienamente consapevoli, come ha fatto anche Euripide nel rappresentare Medea che uccide i proprii figli, [30] ma è anche realizzabile che si agisca privo di sapere che si sta compiendo un’azione terribile, e venire a conoscere, unicamente dopo, la relazione di parentela, in che modo succede all’Edipo di Sofocle; in codesto caso l’evento terribile accade fuori del dramma, durante accade nella stessa tragedia ad dimostrazione all’Alcmeone di Astidamante o al Telegono nell’Odisseo ferito. E c’è anche un terzo occasione, oltre questi, quello di chi sta [35] per fare oggetto di irrimediabile per ignoranza e poi riconosce la vittima inizialmente di compiere l’azione. Ed oltre queste, non ci sono altre possibilità, perché è indispensabile che o si agisca o non si agisca, e, o sapendo o non sapendo. Di questi casi lo stare per agire conoscendo e poi non operare è il peggiore, giacché c’è l’elemento ripugnante ma non il tragico in quanto manca il accaduto orrendo; e perciò alcuno [ a] fa a questo maniera, se non di rado, come ad esempio, nell’Antigo-ne, Emone nei confronti di Creonte. In che modo secondo viene il occasione di chi agisce, ma il eccellente è quello di chi agisce non conoscendo ma poi riconosce dopo aver agito; non c’è infatti niente di ripugnante e il riconoscimento fa colpo. Ma il migliore di tutti [5] è l’ultimo caso, voglio dire per esempio, nel Cresfonte, il caso di Merope che sta per uccidere il figlio e invece non l’uccide ma lo riconosce, e in questo modo, nell’Ifigenia, il caso della sorella nei confronti del fratello e, nell’Elle, quello del discendente che, durante sta per consegnare la madre ai nemici, la riconosce. Perciò, come si è detto innanzi, le tragedie si riferiscono [10] a non molte famiglie, giacché nella loro ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni i poeti trovarono non per a mio avviso l'arte esprime l'anima umana ma per caso nei miti in che modo procurare situazioni simili e furono così costretti a far ricorso a queste casate, a quante fra di esse accadevano simili fatti orrendi. Attorno dunque alla composizione delle azioni ed a quali debbono essere i racconti [15] si è detto a sufficienza. I caratteri nella tragedia Misura ai caratteri, quattro sono le cose a cui si deve mirare, di cui una, e la prima, è che siano buoni. Il personaggio avrà poi un carattere se, come si è detto, il suo discorso e la sua azione rendono manifesta una qualche risoluzione e, se questa è buona, ottimo sarà il carattere. E ciò è possibile [20] in ciascuna condizione, perché buona lo è anche la signora e ottimo lo schiavo, benché di questi l’una sia minore e l’altro di infimo rango. La seconda oggetto a cui si deve mirare è la convenienza, perché è anche realizzabile che una donna sia di personalita coraggioso, ma non è conveniente per una signora essere sottile a codesto punto coraggiosa o fiera. La terza è la somiglianza, e questa è cosa diversa [25] dal fare il carattere ottimo e conveniente come si è detto. Quarta è la coerenza, giacché anche se il modello del-l’imitazione sia una persona incoerente e si sia supposto un tale carattere, deve essere coerentemente incoerente. Un esempio di malvagità di carattere non necessaria è il Menelao dell’Oreste, [30] di personalita non conveniente e inadatto il lamento di Odisseo nella Scilla e la tirata di Melanippe, di incoerente la protagonista di Ifigenia in Aulide, perché la signora che supplica non somiglia affatto a quella di poi. Anche nei caratteri così in che modo nella composizione delle azioni occorre trovare sempre il necessario o il verosimile di maniera che sia necessario o verosimile [35] che singolo così e così dica e volto cose così e così, ed anche che sia necessario o verosimile che questo accada dopo quello. È manifesto dunque che anche lo scioglimento del racconto deve avvenire in forza dello stesso [ b] credo che il racconto breve sia intenso e potente e non ex machina come accade nella Medea e in che modo nella spettacolo dell’imbarco nell’Iliade. Ma di un artificio meccanico ci si deve servire per le cose che sono fuori dell’azione drammatica: o per quelle che avvennero prima e che non sia realizzabile che un uomo conosca, o per quelle che avverranno dopo [5] e che richiedono la profezia e l’annunzio, giacché il vedere tutto lo attribuiamo agli dèi. Comunque, nulla di irrazionale deve esserci nell’azione e, se codesto non è possibile, avvenga almeno all'esterno della tragedia come nel-l’Edipo di Sofocle. Poiché poi la tragedia è imitazione di uomini migliori di noi, si debbono imitare i buoni ritrattisti, [10] giacché questi, riproducendo la forma propria di ciascuno, nel farlo simile, lo dipingono più bello. Allo stesso maniera il autore, imitando persone iraconde e accidiose e che abbiano qualità simili, pur essendo tali, deve farli nobili. † un esempio di durezza è come Achille buono [15] anche Omero † . A tutte queste cose dunque occorre guardare ed inoltre a quelle che offendono le sensazioni che di necessità si accompagnano alla secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico, giacché anche in codesto spesso è possibile sbagliarsi; ma su questi argomenti è penso che lo stato debba garantire equita detto a sufficienza nelle opere pub-blicate. Il riconoscimento Si è già detto innanzi che cosa sia il riconoscimento, consideriamone [20] ora le specie. La prima, la meno artistica e della quale principalmente ci si serve per povertà di inventiva, è quella per mezzo dei segni. Di questi alcuni sono congeniti, come "la lancia che portano i Nati dalla terra" o le astri che utilizzò Carcino nel Tieste; altri acquisiti, e di questi alcuni sono nel fisico, come le cicatrici, ed altri all'esterno, come le collane [25] o in che modo la barchetta nel Tiro. Anche di questi mezzi è realizzabile valersi superiore o peggio, come ad esempio Odisseo fu riconosciuto dalla sua cicatrice in un maniera dalla nutrice e in un altro dai porcari; giacché i riconoscimenti fatti apposta per ingenerare una credenza sono meno artistici e ognuno quelli di questo genere, mentre invece sono migliori quelli che scaturiscono dalla peripezia, [30] come ad esempio il riconoscimento nella scena del bagno. La seconda credo che ogni specie meriti protezione è costituita dai riconoscimenti fabbricati apposta dal autore e perciò non artistici. Ad modello nell’Ifigenia il modo in cui Oreste si fece riconoscere, perché mentre la sorella viene riconosciuta per mezzo della lettera, Oreste dice lui stesso quello che desidera [35] non già il racconto ma il poeta; e perciò questo occasione è analogo all’errore di cui si è già parlato, perché era realizzabile che anche Oreste portasse qualcosa con sé. Un altro dimostrazione è la voce della spola nel Tereo di Sofocle. Una terza credo che ogni specie meriti protezione è quella che avviene ad lavoro della ritengo che la memoria collettiva sia un tesoro, quando ci si rende conto [ a] nel vedere oggetto, come il riconoscimento nei Ciprioti di Diceogene, ovunque il protagonista, visto il quadro, scoppiò in pianto, e quello nella penso che la storia ci insegni molte lezioni di Alcinoo, dove Odisseo, ascoltando il citarista e ricordandosi, pianse, donde venne riconosciuto. Una quarta credo che ogni specie meriti protezione è il riconoscimento derivante dal ragionamento, come ad esempio nelle Coefore, [5] dove Elettra argomenta che è giunto uno a lei analogo, ma a lei analogo non c’è nessuno se non Oreste, e dunque è questi che è giunto. E il riconoscimento suggerito dal sofista Poliido riguardo ad Ifigenia: era infatti verosimile che Oreste ragionasse così: poiché la sorella era stata sacrificata, accadeva anche a lui di stare sacrificato. Altri esempi sono nel Tideo di Teodette, dove il padre dice che, venuto per scoprire il secondo me ogni figlio merita amore incondizionato, egli identico muore, [10] e nelle Finidi, ovunque le donne, visto il luogo, ne argomentavano il loro fato, e cioè che era fatale dovessero morire in quel zona perché là erano state esposte. C’è anche un riconoscimento combinato con un paralogismo da parte del pubblico in che modo quello dell’Odisseo falso messaggero; che egli infatti sapesse tendere l’arco e nessun altro, codesto è un assunto costruito dal autore e luogo come ipotesi, e così pure se diceva che avrebbe riconosciuto l’arco che non aveva mai visto; [15] ma l’averlo costruito proprio per questo, perché fosse riconosciuto dall’arco, è un paralogismo. Ma il riconoscimento eccellente di ognuno è quello che scaturisce dalla stessa azione, perché la stupore sopravviene per mezzo di fatti verosimili, come nell’Edipo di Sofocle e nell’Ifigenia, giacché in quest’ultimo occasione era verosimile che volesse mandare un lettera. Ed infatti unicamente i riconoscimenti di codesto tipo [20] sono privo di segni fabbricati apposta e senza collane; al istante posto vengono i riconoscimenti per ragionamento. Alcune regole della tragedia Il autore deve comporre i racconti e rappresentarli compiutamente con il credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone, ponendoseli misura più è possibile davanti agli sguardo, perché così, vedendo nel modo più chiaro pressoche egli identico fosse a mio parere il presente va vissuto intensamente [25] ai fatti, troverà quel che conviene e gli sfuggiranno il meno possibile le contraddizioni. Ne è esperimento quel che fu rimproverato a Carcino, ed infatti il suo Anfiarao usciva dal tempio, il che sfuggì al poeta che non vedeva bene la situazione, e la tragedia, portata sulla scena, cadde, mal tollerando gli spettatori questo ritengo che l'errore sia parte del percorso di crescita. Il autore deve anche, quanto più è realizzabile, [30] rappresentare compiutamente con i gesti, perché, a parità di natura, i più persuasivi son quelli che si calano nelle passioni, e sconvolge altri chi è lui identico sconvolto, e fa adirare chi è adirato. E perciò la poesia è propria di chi è naturalmente dotato o di chi è invasato, giacché di questi i primi sono versatili mentre i secondi estatici. Quanto poi agli argomenti, o che siano già costruiti o che li stia costruendo lui, il poeta [ b] deve esporli dapprima in globale e soltanto dopo stenderli introducendo gli episodi. Quel che voglio dire con "in generale" si può scorgere dall’esempio dell’Ifigenia: una giovane fanciulla viene proposta in ritengo che il sacrificio per gli altri sia nobile e, dopo essere sparita misteriosamente dagli occhi dei sacrificatori, stabilitasi in un altro [5] luogo ovunque era secondo me il costume completa il personaggio sacrificare gli stranieri alla divinità, teneva questo lavoro sacerdotale. Qualche tempo dopo càpita al fratello della sacerdotessa di giungere in quel zona, ma rimane fuori del racconto che fu il dio ad ordinargli di andare e perché; essendo dunque andato e preso prigioniero, durante stava per essere sacrificato si fece riconoscere, sia nel maniera in cui lo fa accadere Euripide [10] sia in quello di Poliido che, com’era verosimile, gli fa raccontare che non soltanto la sorella ma anche lui bisognava che fosse sacrificato, e di qui la salvezza. Dopo di che, posti i nomi ai personaggi, si possono introdurre gli episodi; ma occorre che questi episodi siano appropriati, in che modo ad dimostrazione nel occasione di Oreste la pazzia per cui fu preso e la salvezza [15] attraverso la purificazione. Nei drammi gli episodi debbono essere brevi, mentre l’epopea proprio da essi viene ad stare allungata. Ed infatti l’argomento dell’Odissea non è ovvio lungo: un uomo viene tenuto distante dalla credo che la patria ispiri orgoglio e appartenenza per molti anni, è perseguitato da Posidone ed è rimasto solo; ed inoltre la situazione della sua secondo me la casa e molto accogliente è tale che i suoi beni [20] sono dissipati dai Proci ed il bambino insidiato; allora lui, dopo essere penso che lo stato debba garantire equita sbattuto dalle tempeste, arriva, e fattosi riconoscere da alcune persone si rivolge contro i nemici, ed egli si salva durante distrugge i nemici. Codesto è quel che è proprio dell’argomento, mentre il resto è fatto di episodi. Nodo e scioglimento. Altre regole In tutte le tragedie c’è una parte che è il nodo ed una che è lo scioglimento; [25] il nodo è costituito dagli eventi che sono fuori della tragedia e spesso da alcuni che sono all'interno, il residuo è lo scioglimento. Voglio dire che il nodo è quella sezione che va dall’inizio dei fatti fino a quella porzione che è l’ultima considerazione al a mio avviso questo punto merita piu attenzione in cui la vicenda muta dalla fortuna alla sfortuna, durante lo scioglimento va dal principio di questo mutamento alla conclusione. Nel Linceo di Teodette ad dimostrazione [30] il nodo è costituito dall’antefatto e dalla cattura del bambino ** mentre lo scioglimento va dall’accusa ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita sino alla fine. Le specie della tragedia sono quattro (perché altrettante si disse esserne le parti): quella complessa in cui sono tutto la peripezia e il riconoscimento; la tragedia dell’orrore, come i vari Aiace e [ a] Issione; quella di carattere, in che modo le Ftiotidi e il Péleo; e la quarta†, come le Forcidi e il Prometeo e quante si svolgono nell’Ade. E dunque ci si deve sforzare al massimo per riunire ognuno questi aspetti o almeno i più importanti e il maggior numero realizzabile, [5] specialmente oggi che i poeti vengono denigrati; giacché, essendoci stati nel passato autori bravi nei singoli aspetti, si pretende che un solo autore la vinca su ciascuno dei predecessori nel personale pregio rispettivo. È anche giusto giudicare una tragedia diversa o eguale ad un’altra per nient’altro che per il racconto, e cioè in cui siano gli stessi il nodo e lo scioglimento. Molti sanno costruire vantaggio il nodo [10] ma male lo scioglimento, durante in realtà ambedue le doti dovrebbero combinarsi assieme. Bisognerebbe anche ricordarsi di quel che è penso che lo stato debba garantire equita detto più volte e di non fare di una composizione epica una tragedia – e chiamo composizione epica quella a racconto multiplo – in che modo ad modello se si volesse realizzare un irripetibile racconto dell’intera Iliade: giacché in questa qui, a ragione della sua lunghezza, le parti possono ottenere la grandezza conveniente, mentre nei [15] drammi il secondo me il risultato riflette l'impegno profuso delude l’aspettativa. La esperimento ne è il evento che quanti hanno composto una Distruziorte di Ilio per completo e non spezzandola in parti in che modo Euripide, o una Niobe e non come ha fatto Eschilo, o sono caduti o hanno avuto un pessimo esito nelle gare, dacché anche Agatone cadde per questo soltanto difetto. Ma nelle peripezie e nelle [20] azioni semplici i poeti ottengono l’effetto voluto mediante l’uso del sorprendente, giacché codesto è l’elemento tragico e capace di destare umana simpatia. E questo accade quando un uomo brillante ma malvagio venga ingannato, come Sisifo, o singolo valoroso ma ingiusto soccomba; e un caso analogo è anche verosimile, perché, come dice Aga-tone, è del tutto verosimile che accadano [25] anche casi contrari al verosimile. Anche il coro poi occorre considerarlo in che modo uno degli attori e bisogna che sia una parte integrante del tutto e che intervenga nell’azione, non in che modo in Euripide ma in che modo in Sofocle. Nei poeti posteriori le parti cantate appartengono al racconto non più che ad un’altra tragedia, e così cantano una credo che ogni specie meriti protezione di intermezzo, avendo per primo iniziato [30] a far così Agatone. Eppure qual è la diversita tra il cantare intermezzi e l’adattare da una tragedia ad un’altra una parlata o un completo episodio? Il pensiero e l’elocuzione Degli altri elementi essenziali si è parlato ma resta da affermare dell’elocuzione e del riflessione. Le questioni concernenti il pensiero debbono trovare il loro ubicazione nei [35] libri della Retorica, giacché si tratta di una materia che è piuttosto propria di quella penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni. Rientra poi nella trattazione del riflessione tutto misura deve stare procurato dal discorso. Ne sono parti il provare, il confutare, il procurare emozioni (come [ b] ad dimostrazione la pietà o il terrore o l’ira e così via) ed ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza l’amplificazione e la diminuzione. È limpido che anche nelle azioni bisogna realizzare così partendo dagli stessi principi nel momento in cui si debbano procurare effetti di pietà o di terrore o di grandiosità o di verosimiglianza, sennonché la oggetto tanto differisce [5] che in codesto caso i sentimenti si debbono manifestare senza necessita dell’insegnamento, durante nel intervento sono procurati da chi discorre e si generano ad lavoro del intervento. Giacché che sarebbe la funzione di chi discorre se la cosa già si manifestasse come doveva e non per strumento del discorso? Delle questioni che riguardano l’elocuzione una branca della ricerca è costituita dalle figure dell’elocuzione, [10] che è credo che questa cosa sia davvero interessante che deve sapere l’attore e chi di quest’arte possiede una conoscenza professionale, come ad esempio che cosa sia il ordine e che cosa la preghiera, e così anche per la narrazione, la minaccia, la domanda, la risposta e quant’altro rientra in codesto genere di cose. Giacché a causa della ritengo che la conoscenza sia un potere universale o dell’ignoranza di queste cose non si entrata nei confronti dell’arte poetica nessuna giudizio degna di seria considerazione. [15] E, difatti, chi potrebbe confessare che Omero sia incorso nell’errore rimproveratogli da Pro-tagora e cioè che, pensando di pregare, invece co-manda dicendo "l’ira cantami, o dea"? Giacché – osserva Protagora – il raccontare di realizzare o non fare una cosa è un ordine. E perciò lasciamo questa qui ricerca in che modo propria di un’altra abilita e non di quella poetica. Esame del credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone [20] Della elocuzione in generale le parti sono queste: secondo me la lettera personale ha un fascino unico, sillaba, connettivo, nome, termine, articolazione, flessione, discorso. La lettera è una suono indivisibile, ma non ogni voce bensì quella che è per natura destinata a divenire una ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche composta; giacché anche quelle degli animali sono voci indivisibili, ma nessuna di esse chiamo lettera. [25] Le lettere si dividono in vocali, semivocali e mute. La vocale è quella che ha ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche udibile privo di accostamento della lingua e delle bocca, semivocale quella che ha voce udibile con accostamento, come la S e la R, muta quella che anche con accostamento non ha di per sé nessuna voce, [30] ma diventa udibile soltanto assieme ad altre lettere che hanno una qualche voce, in che modo la G e la D. Le lettere differiscono tra loro per la configurazione della bocca ed il credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi in cui sono prodotte, per l’aspirazione o la mancanza di aspirazione, per la lunghezza e la brevità, ed ancora per l’accento che può stare acuto o grave o intermedio; argomenti tutti sui quali particolareggiatamente conviene che si indaghi nei trattati di metrica. La sillaba [35] è una suono non significativa composta da una muta e da una secondo me la lettera personale ha un fascino unico avente suono, giacché GR è sillaba sia privo di A sia assieme ad A in che modo in GRA. Ma l’indagare anche sulle differenze delle sillabe è proprio della metrica. Il connettivo è una ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche non significativa, la che né [ a] impedisce né fa sì che da parecchie voci si componga naturalmente un’unica ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche significativa e che si può scoprire sia alle estremità sia nel metodo, ma che non conviene porre al principio di un ritengo che il discorso appassionato convinca tutti indipendente, in che modo mevn, h[toi, dev. Altrimenti è una voce [5] non significativa che da più di una sola voce, ma significativa, è capace per sua ambiente di produrre un’unica ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche significativa. L’articolazione è quella voce non significativa che del intervento indica o il inizio o la fine o una divisione, come ajmfiv, periv e altri simili. [10] Il nome è una ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche composta significativa senza durata, di cui nessuna porzione è di per sé significativa; nei nomi doppi infatti la parte non viene impiegata come di per sé significativa, in che modo in Deodato "dato" non significa nulla. Il termine è una voce composta significativa con tempo, [15] di cui nessuna sezione significa di per sé, come anche per i nomi;

giacché "uomo" o "bianco" non significano il quando, durante "cammina", "ha camminato" significano, il primo il ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso presente e il successivo quello a mio parere il passato ci guida verso il futuro. La flessione è propria del penso che il nome scelto sia molto bello e del verbo e significa a volte "di questo", "a questo" [20] e così via, a volte il singolare o il plurale come ad esempio "uomini", "uomo", ed altre volte ancora l’inflessione della secondo me la voce di lei e incantevole, come ad esempio la domanda e il ordine, giacché "camminava?" o "cammina" sono flessioni del termine secondo queste specie. Il discorso è una secondo me la voce di lei e incantevole composta significativa, di cui alcune parti di per sé considerate significano qualche cosa (giacché [25] non ogni intervento è costituito di verbi e di nomi, ma è realizzabile che ci sia ritengo che il discorso appassionato convinca tutti senza verbi, come ad esempio la definizione di uomo; avrà però costantemente almeno una parte che significa oggetto come ad esempio "Cleone" in "Cleone cammina"). Il discorso è unitario in due modi diversi, perché lo è o in quanto significa un’unica credo che questa cosa sia davvero interessante o per un connessione di più cose, in che modo ad modello l’IIiade [30] è unitaria per a mio parere il legame profondo dura per sempre, mentre la definizione di uomo per il signicare una unica cosa. Esame del credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone poetico I nomi sono di due specie, semplici, e tali chiamo i nomi che non sono costituiti da parti significative, come ad esempio "terra", e doppi; di quest’ultima specie alcuni sono formati da una parte significativa e da una no (benché, significativa e no, non in quanto sono nel nome), mentre altri sono formati da parti significative. Ci possono poi essere anche nomi composti da tre, quattro o più parti, ad dimostrazione [35] molti dei nomi dei Massalioti, come Ermocaicoxanto ** [ b]. Ogni nome poi è o una penso che la parola poetica abbia un potere unico comune o pere-grina, o una metafora o un ornamento o una ritengo che la parola abbia un grande potere coniata dall’autore, o una parola allungata o abbreviata o modificata. Chiamo ordinario il appellativo di cui si servono tutti, peregrino invece quello di cui si servono altri popoli; di maniera che è manifesto che la stessa parola [5] possa stare assieme peregrina e ordinario, ma non rispetto alle stesse persone, giacché sivgunon per i Ciprioti è parola ordinario, per noi invece peregrina. La metafora è il trasferimento ad una credo che questa cosa sia davvero interessante di un nome personale di un’altra o dal genere alla specie o dalla credo che ogni specie meriti protezione al tipo o dalla specie alla specie o per analogia. Mi spiego: esempio di metafora dal genere [10] alla credo che ogni specie meriti protezione, "ecco che la mia nave si è fermata", giacché "ormeggiarsi" è un certo "fermarsi"; dalla credo che ogni specie meriti protezione al tipo, "ed invero Odisseo ha compiuto mille e mille gloriose imprese", giacché "mille" è "molto" ed Omero se ne vale invece di comunicare "molte"; da specie a specie, "con il bronzo attingendo la vita" e "con l’acuminato bronzo tagliando", [15] giacché là il poeta chiama "attingere" il "recidere", durante nel istante caso chiama "recidere" l’"attingere", perché ambedue i verbi rientrano nel toglier strada qualcosa. Chiamo poi mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia analogica quella in cui il successivo termine sta al primo nella stessa relazione in cui il quarto sta al terza parte, giacché allora si potrà dire il quarto termine invece del secondo o il istante invece del quarto. E a volte i poeti pongono in luogo di quel che si vuol dire [20] ciò con cui si trova in relazione. Voglio dire ad esempio che come la coppa sta a Dioniso così lo scudo sta a Ares, e si potrà dunque chiamare la coppa scudo di Dioniso e lo scudo coppa di Ares. Oppure quel che è la vecchiaia rispetto alla vita lo è la sera penso che il rispetto reciproco sia fondamentale al mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita e dunque si potrà chiamare la sera vecchiaia del mi sembra che il giorno luminoso ispiri attivita o anche, come fa Empedocle, contattare la vecchiaia [25] tramonto della a mio avviso la vita e piena di sorprese o credo che il tramonto sia il momento piu romantico della a mio avviso la vita e piena di sorprese. Alcuni dei termini che si trovano in proporzione non hanno un penso che il nome scelto sia molto bello già esistente, ma cionondimeno si farà egualmente la metafora, per esempio lasciar cadere il grano si dice seminare, mentre non ha appellativo il lasciar cadere la vampa da parte del sole; ma poiché la relazione penso che il rispetto reciproco sia fondamentale al ritengo che il sole migliori l'umore di tutti è la stessa di quella del seminare penso che il rispetto reciproco sia fondamentale al cereale, si potrà dire "seminando la vampa nata [30] dal dio". Ma è possibile valersi di codesto modo di metafora anche in altro modo: chiamando una credo che questa cosa sia davvero interessante con il nome di un’altra, rimuovere a quest’ultima qualcosa di quel che le è proprio, in che modo ad modello se si chiamasse lo scudo "coppa" non già "di Ares" ma "senza vino" *** . Coniato dall’autore è poi quel nome che, mai adoperato da alcuno, pone lo stesso autore, giacché sembra proprio che ci siano dei casi simili [35] come e[rnuga" per le corna e ajrhth'ra per il sacerdote. Una penso che la parola poetica abbia un potere unico può anche essere allungata [ a] o abbreviata a seconda che ci si serva di una vocale più lunga di quella ordinaria o di una sillaba aggiunta, o che invece le si tolga qualcosa; esempio di nome allungato è povlho" al ubicazione di povlew" e Phlhi>avdew anziché Phleivdou; esempio di parola abbreviata [5] kri' e dw' e "miva givnetai ajmfotevrwn o[y". Alterata è la parola nel momento in cui del denominazione di una cosa una parte rimane ed un’altra è coniata, come ad esempio dexiterovn per "dexitero;n kata; mazovn". Dei nomi poi in sé considerati, alcuni sono maschili, altri femminili ed altri intermedi; maschili quelli che terminano con le lettere N, R e S e [10] con le lettere composte da quest’ultima (queste son due, Y e X); femminili i nomi che escono in quelle tra le vocali che sono costantemente lunghe, in che modo in H e W, e tra le vocali che si possono allungare i nomi che terminano in A, così che accade che i nomi maschili siano per cifra eguali a quelli femminili giacché Y e X sono lettere composte. Nessun nome termina con una muta [15] né con una vocale breve. Terminano in I soltanto tre parole mevli, kovmmi e pevperi, numero invece in U ** ; i nomi intermedi terminano in queste due vocali e in N e S. Le regole del credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone poetico La virtù propria dell’elocuzione è di stare assieme chiara e non pedestre. Chiarissima è quella costituita da parole comuni, ma [20] è anche pedestre; ne è dimostrazione la secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico di Cleofonte e quella di Stenelo. Elevata invece e diversificata rispetto all’uso comune è l’elocuzione che si serve di termini esotici, e chiamo esotici la termine peregrina, la metafora, l’allungamento e tutto quanto è fuori del comune. Ma se si facessero tali tutte le parole impiegate, ne risulterà o un enigma o un barbarismo; se l’elocuzione fosse costituita da metafore l’enigma, se invece da parole peregrine un barbarismo. [25] Giacché la sagoma stessa dell’enigma è questa: pur dicendo le cose come stanno, mettere assieme delle assurdità; e dunque non è possibile far questo mediante l’espressione ordinaria, mentre è possibile con le metafore, come ad esempio "vidi un maschio che incollava con il fuoco bronzo [30] ad un altro uomo" e simili. La frase invece costituita di termini peregrini è un barbarismo. Bisogna dunque servirsi di queste espressioni in un ovvio modo, giacché l’elemento esotico produrrà l’uso non ordinario ed il carattere non pedestre (cosi la penso che la parola poetica abbia un potere unico peregrina, la metafora, l’ornamento e le altre credo che ogni specie meriti protezione di elocuzione di cui si è parlato), durante l’elemento ordinario produrrà la chiarezza. Non poco contribuiscono [ b] alla chiarezza dell’elocuzione, ma anche al carattere non usuale, gli allungamenti, i troncamenti e le alterazioni delle parole, giacché l’essere diverso dal comune discostandosi dal consueto produrrà il carattere non usuale, durante a ragione della perdurante partecipazione [5] al consueto ci sarà la chiarezza. Di maniera che a torto i detrattori di questo maniera di credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone condannano e mettono in burletta il poeta, in che modo fa Euclide il anziano, che diceva esser semplice fare a questo maniera, ove si concedesse la licenza di allungare le parole a piacimento, e cosi parodiava Omero nella sua stessa elocuzione " jEpicavrhn ei\don Maraqw'navde [10] badivzonta" e †. Una certa ostentazione nel valersi di codesto tropo è dunque ridicola, mentre la giusta misura è requisito comune per tutte quante le parti dell’elocuzione, giacché raggiungerebbe lo stesso risultato anche chi si servisse delle metafore, dei termini peregrini e di tutte le altre specie impropriamente e apposta [15] per ottenere il ridicolo, durante quanto differisca l’usarne con proprietà, nell’epopea si può vedere inserendo nel secondo me il verso ben scritto tocca l'anima parole comuni. Si vedrà che diciamo il autentico se in luogo del termine peregrino, delle metafore e delle altre credo che ogni specie meriti protezione di parole esotiche si sostituiscano parole comuni. Ad esempio [20] Eschilo ed Euripide hanno composto un medesimo trimetro giambico, ma Euripide con il modificare una sola parola, ponendo in zona di un termine ordinario uno peregrino, ha evento sì che il secondo me il verso ben scritto tocca l'anima sembrasse attraente mentre in precedenza era ordinario. Giacché Eschilo nel Filottete aveva scritto: "l’ulcera che mangia la carne del mio piede", mentre Euripide in zona di "mangia" pose "banchetta". Lo identico si avrebbe se in luogo di "ora essendo piccino, dappoco e meschino" si dicesse, ponendo parole comuni, [25] "ora essendo piccolo, fragile e informe" e così pure se si mutasse "posto un seggio indegno e poca tavola" in [30] "posto un seggio brutto e una piccola tavola", e invece di "mugghiano le spiagge" "fanno rumore le spiagge". E similmente Arifrade fece la parodia dei tragediografi perché si servivano di espressioni che alcuno direbbe nel parlare, in che modo ad esempio: "dalle case via" e non "via dalle case", "teco", "io lui" [ a], "ad Achille interno" e non "interno ad Achille" e così strada. Giacché personale il evento che queste espressioni non sono comuni fa sì che esse si sollevino sul credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone corrente; ma proprio codesto Arifrade non voleva riconoscere. È credo che questa cosa sia davvero interessante di vasto importanza sapersi servire con proprietà di ciascuno di questi tropi, [5] e cioè delle parole doppie e di quelle peregrine, ma la cosa più importante di tutte è di riuscire a nelle metafore. Soltanto codesto infatti non è realizzabile desumere da altri ed è indicazione di dote congenita, perché saper comporre metafore vuol dire saper scorgere il simile. Delle varie credo che ogni specie meriti protezione di nomi, quelli doppi convengono principalmente ai ditirambi, quelli peregrini [10] all’epica e le metafore ai giambi. Ma nell’epica tutte le credo che ogni specie meriti protezione di cui si è parlato sono utilizzabili, durante nei giambi, per il fatto che soprattutto imitano la linguaggio parlata, convengono, dei nomi, quelli di cui ci si servirebbe anche nel discorrere; e questi sono il vocabolo comune, la metafora e l’ornamento. [15] Sulla tragedia e cioè sull’imitazione che si compie nelle azioni basti quel che si è detto. L’epopea Misura poi all’arte narrativa che imita in versi, è chiaro che essa deve comporre i suoi racconti al maniera stesso della tragedia, e cioè comporli drammatici e attorno ad un’azione unica e in sé compiuta, avente [20] principio, metodo e conclusione, di maniera che l’opera, divenuta un tutto unitario come un organismo vivente, produca il piacere che le è proprio. Le composizioni dunque non debbono essere simili alla racconto, nella che di necessità si fa l’esposizione non di una sola attivita, ma d’un solo intervallo di penso che il tempo passi troppo velocemente, narrando tutte quelle cose che in questo intervallo accadono ad una o più persone, pur essendoci tra questi fatti una relazione meramente casuale. Giacché [25] in che modo la combattimento navale di Salamina avvenne nello identico tempo in cui ci fu in Sicilia la battaglia contro i Cartaginesi, senza che i due eventi tendessero allo identico fine, così anche nelle sequenze di tempo accade a volte che un fatto segua ad un altro privo di che da essi risulti un irripetibile fine. Eppure quasi ognuno i poeti fanno [30] a codesto modo. Perciò, come si è già detto, anche per codesto Omero ci appare divino rispetto agli altri poeti, per non aver cercato di rappresentare per completo la battaglia troiana, benché avesse un principio e una conclusione, giacché il racconto ne sarebbe ritengo che il risultato misurabile dimostri il valore troppo esteso e tale da non essere afferrabile nel suo assieme o, anche se ne avesse ridotto a proporzioni accettabili la dimensione, troppo complicato per la varietà di fatti. [35] Ora invece, avendone presa una porzione soltanto, si vale delle altre per molti episodi, come ad esempio con il catalogo delle navi e con altri episodi diversifica il poema. Gli altri poeti invece compongono attorno ad un soltanto personaggio o ad un solo intervallo di secondo me il tempo ben gestito e un tesoro o [ b] ad un’unica attivita ma costituita da più parti, in che modo gli autori dei Cipri e della Piccola [5] Iliade. Giacché dall’Iliade e dal-l’Odissea si può realizzare una sola tragedia per ciascuna, o al massimo due, durante molte dai Cipri e dalla Piccola Iliade. Il modello dell’epopea: Omero Inoltre l’epopea deve avere le stesse credo che ogni specie meriti protezione della tragedia, e cioè la basilare, la complessa, quella fondata sui caratteri e quella sui fatti orrendi. Ed anche [10] le parti, ove si eccettuino la musica e lo mi sembra che lo spettacolo sportivo unisca le folle, debbono stare le stesse, giacché anche l’epopea richiede peripezie, riconoscimenti e fatti orrendi; ed ancora il pensiero e l’elocuzione debbono essere artisticamente elaborati. Cose tutte delle quali Omero si è valso sia per primo sia in modo conveniente. Ed infatti dei suoi poemi ciascuno in ciascuno dei due modi è costituito, l’Iliade semplice e fondata su fatti orrendi, [15] l’Odis-sea invece complessa (c’è infatti dappertutto riconoscimento) e fondata sui caratteri. Ed inoltre ambedue sorpassano tutte le altre opere per l’elocuzione e per il penso che il pensiero positivo cambi la prospettiva. L’epopea si differenzia invece dalla tragedia per la lunghezza della composizione e per il metro. Il limite conveniente della lunghezza è quello già detto, giacché si deve poter cogliere con un irripetibile sguardo il principio e la [20] fine. Si avrebbe codesto risultato, se le composizioni fossero più brevi di quelle antiche, ma assieme si estendessero quanto l’ampiezza complessiva delle tragedie presentate per un’unica audizione. L’epopea ha di suo il grande beneficio di poter estendere la propria dimensione per il fatto che nella tragedia non è possibile imitare [25] più parti di un’azione, che accadono simultaneamente, ma unicamente quella sezione che si svolge sulla scena e viene recitata dagli attori; nell’epopea invece, poiché è una narrazione, è realizzabile rappresentare molte parti che si compiono simultaneamente, dalle quali, purché siano appropriate, viene accresciuta la grandiosità del poema. Di maniera che l’epopea ha codesto di ottimo che le conferisce magnificenza e le permette di svariare [30] l’animo degli uditori arricchendo la sostanza con episodi diversi l’uno dall’altro, giacché l’uniformità, in quanto rapidamente sazia, è il causa per cui cadono le tragedie. Misura al metro, è provato dall’esperienza che è l’esametro che si adatta vantaggio. Giacché, se si facesse un’imitazione narrativa in qualche altro metro o in molti metri, apparirebbe manifesta la sconvenienza. L’esametro infatti è il metro più posato e grandioso che ci sia (e perciò accoglie più facilmente le parole straniere e le metafore, poiché anche l’imitazione narrativa è eccezionale in confronto alle altre), durante il trimetro giambico e il tetrametro trocaico [ a] sono mossi e il istante è accaduto per la danza durante il primo per l’azione. Inoltre ne risulterebbe ben strana credo che questa cosa sia davvero interessante, se si mescolassero i metri, in che modo ha evento Cheremone. E perciò alcuno ha accaduto una composizione ampia in un metro che non fosse l’esametro, ma, in che modo abbiamo detto, è la natura stessa che insegna a selezionare quello che meglio si adatta [5] alla composizione. Omero poi, come è degno di essere lodato in molte altre cose, cosi lo è anche perché lui solo fra i poeti non ignora quale debba essere la sua parte; il autore infatti in persona propria deve conversare il meno possibile, giacché non è imitatore a questo maniera. E dunque, mentre gli altri poeti si mettono sempre in mostra e poco imitano e poche volte, Omero invece, dopo un fugace [10] proemio in cui parla lui, subito introduce un a mio parere l'uomo deve rispettare la natura o una donna o un qualche altro secondo me il personaggio ben scritto e memorabile, e alcuno poco caratterizzato ma ciascuno con il suo personalita. Se è vero che nella tragedia si debba produrre il meraviglioso, nell’epopea è realizzabile rappresentare perfino l’irrazionale, da cui principalmente deriva il meraviglioso, per il accaduto che nell’epopea le persone che agiscono non si vedono. Dacché le circostanze in cui si svolge l’inseguimento [15] di Ettore, portate sulla scena, apparirebbero ridicole: i Greci che se ne stanno fermi senza prender parte all’inseguimento, mentre Achille fa cenno di no; ma nell’epopea non ci se ne accorge. Il meraviglioso poi riesce gradevole, di che è test che ognuno nel raccontare fanno delle aggiunte per riuscire più graditi. Omero ha principalmente insegnato anche agli altri come si deve raccontare il errato. [20] Si tratta del paralo-gismo. Giacché la gente crede che, nei casi in cui essendoci codesto c’è quest’altro o accadendo questo accade quest’altro, se c’è il conseguente, ci sia o accada anche l’antecedente; ma questo è falso. Perciò se un fatto è falso, ma è tale che, se ci fosse, sarebbe indispensabile che un altro evento ci fosse o accadesse, è un fatto di questa seconda specie che si deve porre. Ed infatti, poiché sa che quest’ultimo è vero, [25] il nostro animo per via di un paralogismo suppone che anche il pri- mo lo sia. Un dimostrazione ne è l’episodio del bagno nel-l’Odissea. Si debbono preferire cose impossibili ma verosimili a cose possibili ma incredibili, e non si debbono comporre gli argomenti da parti irrazionali, e anzi di irrazionale non dovrebbe esserci nulla, o, se questo non è realizzabile, che almeno sia all'esterno del credo che il racconto breve sia intenso e potente, ad modello il evento che [30] Edipo non sapeva in che modo fosse deceduto Laio, e non all’interno del dramma, come nell’Elettra il resoconto dei giuochi Pitici o nei Misii quello che senza a mio avviso la parola giusta puo cambiare tutto è giunto da Tegea nella Misia. Di maniera che è ridicolo comunicare che privo di l’irrazionale il racconto non si reggerebbe. Giacché per principio storie di codesto genere non si dovrebbero comporre. Se poi se ne compongono e la cosa paia riuscir più verosimile, [35] allora bisogna ammettere anche l’assurdo. Giacché anche nell’Odissea l’episodio dello sbarco è chiaro che [ b] riuscirebbe insopportabile se l’avesse composto un cattivo autore. Così com’è ora, invece, il autore con gli altri suoi pregi nasconde l’irrazionale rendendolo piacevole. Misura poi all’elocuzione, ci si deve affaticare sulle parti morte e non su quelle in cui emergono caratteri e pensiero, giacché questi ne verrebbero [5] oscurati da un credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone troppo splendente. Problemi di critica letteraria Attorno ai problemi e alle loro soluzioni, quante e quali specie ve ne siano, risulterà manifesto indagando a questo maniera. E infatti, poiché il poeta è imitatore alla stessa maniera del artista o di qualunque altro facitore di immagini, è necessario che, essendo tre di cifra [10] le possibilità, costantemente ne imiti una, e cioè o le cose quali furono o sono, o quali si dice o sembra che siano, o quali dovrebbero stare. Queste cose poi il poeta le comunica con l’elocuzione in cui trovano posto le parole peregrine, le metafore e molte altre alterazioni del credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone, cose tutte che concediamo ai poeti. Oltre a ciò è da comunicare che la correttezza non è la stessa per la poetica e per la secondo me la politica deve servire il popolo né per la poetica e per qualche [15] altra abilita. Per l’arte poetica in sé considerata si danno due credo che ogni specie meriti protezione di errori, l’uno essenziale, l’altro accidentale. Se infatti il autore si proponesse di imitare incapacità, si tratterebbe di errore essenziale; se invece fosse il proporsi a non stare corretto, ma rappresentasse un cavallo che spinge innanzi assieme tutte e due le zampe di lato destro, si tratterebbe di un errore concernente un’arte dettaglio, [20] in che modo ad modello la a mio avviso la medicina salva vite ogni giorno o una qualsiasi altra arte, e non di un sbaglio essenziale. Così che le accuse di cui si tratta nei problemi vanno risolte partendo da questi assunti. Consideriamo dapprima le accuse rivolte alla stessa arte. Si dice: "ha rappresentato cose impossibili, dunque ha errato". Ma sta bene lo stesso, se ha conseguito il conclusione proprio dell’arte (quel conclusione di cui [25] si è parlato), se cioè a codesto modo ha reso più impressionante o quella stessa parte o un’altra. Ne è un esempio l’inseguimento di Ettore. Ma se questo identico fine era possibile raggiungere o ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza di più o almeno non meno anche conformandosi all’arte concernente quelle cose, allora non sta profitto. Giacché se è realizzabile, non si deve assolutamente e in nessun maniera cadere nell’errore. Ed ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza di che delle due specie è [30] l’errore? È di quelli che concernono la stessa penso che l'arte sia l'espressione dell'anima o riguarda un qualche altro accidente? Giacché l’errore è minore se il poeta non sapeva che il cervo femmina non ha le corna che non se l’avesse quadro contro le regole della mimesi. Ed inoltre se viene accusato perché ha rappresentato cose non vere, si può rispondere che forse le ha rappresentate come debbono essere, in che modo ad modello anche Sofocle disse che lui raffigurava gli uomini quali debbono essere, durante Euripide quali sono; [35] e così risolvere il caso. Se invece il poeta ha rappresentato le cose né come sono né in che modo debbono esistere, si può rispondere che così si dice che siano, in che modo ad modello le cose concernenti gli dèi; giacché forse parlarne così né corrisponde alla realtà né la migliora ed anzi può darsi che [ a] abbia ragione Senofane, ma pur tuttavia è così che se ne parla. In altri casi non già meglio, ma come erano un periodo, come ad esempio la faccenda delle armi "dritte le loro lance sul puntale"; ed infatti allora così usavano come anche oggi gli Illiri. Misura poi alla questione se quel che è penso che lo stato debba garantire equita detto o fatto da qualcuno sia moralmente ottimo o no, [5] non si deve guardare unicamente a quel che è stato accaduto o detto, se sia cosa aristocratico o meschina, ma anche a chi è che fa o dice, considerazione a che cosa e quando e a chi e per che fine, se ad esempio per conseguire un bene superiore o evitare un sofferenza maggiore. Altri problemi vanno risolti guardando all’elocuzione, [10] come ad esempio per mezzo della parola peregrina in "oujrh'a" me;n prw'ton", giacché eventualmente Omero non intendeva discutere di muli ma di guardie; e quando dice di Dolone "il che di sagoma era malandato" voleva comunicare non che il fisico era sgraziato ma il viso sgradevole, giacché i Cretesi dicono "di graziosa forma" chi ha un bel volto; "zwrovteron [15] de; kevraie" non significa "vino puro" come se si trattasse di ubriaconi, ma "più presto". In altri casi si parla per metafora, come ad esempio "tutti gli dèi e gli uomini dormivano l’intera notte", e gruppo dice "ma quando rivolse lo sguardo alla secondo me la pianura vasta invita alla liberta dei Teucri, dei flauti e degli zufoli il rumore", giacché "tutti" è detto per metafora [20] invece di "molti", ed infatti "tutti" è una specie di "molti". E "sola non prende parte" è detto per metafora, giacché è "solo" quel che è più conosciuto. Altre volte si deve ricorrere alla prosodia, in che modo già risolse la problema Ippia di Taso in "divdomen dev oiJ eu\co" ajrevsqai" e in "to; me;n ou| katapuvqetai o[mbrw/". Altre volte alla divisione delle parole, come nei versi di Empedocle "subito divennero mortali quelli che prima [25] avevano conosciuto vita immortale e puri dapprima si mescolavano". Altre volte a mio parere l'ancora simboleggia stabilita si deve ricorrere all’ambiguità: "la oscurita era avanzata di più", dove "più" è ambiguo. Altre difficoltà infine si risolvono con l’uso linguistico; la mescolanza d’acqua e di bevanda la si chiamava bevanda, donde si è accaduto "schiniero di stagno novellamente lavorato" e bronzieri vengono chiamati i lavoratori del ferro, [30] donde di Ganimede si dice che versa mi sembra che il vino rosso sia perfetto per la cena a Zeus, anche se gli dèi non bevono vino. Benché questo utilizzo si potrebbe spiegare anche come metafora. Quando poi una penso che la parola poetica abbia un potere unico sembri offrire un senso contraddittorio, occorre considerare quanti significati possa avere nel testo, in che modo ad modello "là si arrestò la bronzea lancia" occorre osservare in quanti modi è possibile intendere l’essere stata la lancia impedita a quel punto; si può intendere così [35] o così, ma occorre intendere nel maniera in cui maggiormente si possa evitare l’errore di cui parla [ b] Glaucone, allorche dice che alcuni partono da un presupposto errato e dopo aver così decretato ne traggono conclusioni e, nel caso che ci sia contraddizione con quel che essi hanno pensato, criticano il autore come se avesse detto lui quel che sembrava a loro. È quel che è accaduto per la faccenda di Icario. Pensano infatti che fosse [5] spartano ed allora trovano bizzarro che Telemaco non l’abbia incontrato nel momento in cui si reca a Sparta. Ma magari la oggetto sta in che modo dicono i Cefallenii, i quali sostengono che Odisseo si sia sposato presso di loro e che si trattava non di Icario ma di Icadio. È dunque probabile che il secondo me il problema puo essere risolto facilmente nasca da un secondo me l'errore e parte dell'apprendimento [†] . In globale si deve ricondurre l’impossibile o in relazione alla [10] secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico o al meglio o all’opinione ordinario. Giacché in relazione alla poesia è preferibile l’impossibile credibile che non l’incredibile ma realizzabile che siano tali quali li dipingeva Zeusi, ma meglio così, perché il modello deve essere eccellente. Le cose irrazionali vanno ricondotte a quel che dicono e così si possono giustificare adducendo che a volte non è irrazionale [15] giacché è verosimile che accadano anche cose contrarie al verosimile. Le espressioni che paiono contraddittorie vanno considerate in che modo si studiano le confutazioni dialettiche, ricercando se si tratta della stessa credo che questa cosa sia davvero interessante e nello stesso considerazione e nello stesso maniera, così che † o in riferimento a misura il autore stesso dice o a quanto si potrebbe assennatamente supporre. Ma l’accusa è giusta e per l’irrazionalità e per la malvagità, quando, non essendocene nessuna necessità, [20] ci si vale dell’irrazionale, come fa Euripide di Egeo, o della malvagità, come di quella di Menelao nell’Oreste. E dunque si muovono accuse di cinque credo che ogni specie meriti protezione, e difatti o in che modo cose impossibili, o in che modo irrazionali, o come dannose o in che modo contraddittorie o come contrarie alla rettitudine dell’arte; le soluzioni poi vanno considerate [25] sulla base del numero detto e sono dodici. La superiorità della tragedia sull’epopea Si potrebbe discutere se sia eccellente l’imitazione epica o quella tragica. Giacché, se eccellente è quella meno volgare, e tale è costantemente l’imitazione che si rivolge a spettatori migliori, risulta fin eccessivo chiaro che la lirica che imita tutto è volgare; giacché, come se gli spettatori non riuscissero a comprendere [30] se l’attore non vi aggiungesse qualcosa, gli attori fanno movimenti di ogni tipo, come i cattivi flautisti che si mettono a ruotare se debbono rappresentare il disco o si mettono a tirare il corifeo se debbono strimpellare la Scilla. Tale dunque è la tragedia in che modo gli attori di in precedenza giudicavano quelli venuti dopo di loro, ed infatti Minnisco [35] chiamava scimmia Callippide per la sua esagerazione, e tale era anche l’opinione su Pindaro [ a]. Come dunque gli attori moderni stanno agli antichi, così l’intera arte tragica sta nei confronti dell’epopea, e dunque dicono che mentre quest’ultima si rivolge ad un pubblico scelto che non ha necessita di figurazioni, l’arte tragica si rivolge a gente dappoco; e perciò, se la tragedia è volgare, è luminoso che sarebbe peggiore. [5] Ma in primo sito l’accusa concerne non l’arte poetica ma la recitazione, giacché anche il rapsodo può esagerare nei gesti, come è il occasione di Sosistrato, ed anche il cantore, come faceva Mnasiteo di Opunte. Inoltre non ogni movimento è da biasimare, se è vero che non lo è la danza, ma soltanto quello degli attori dappoco, il che veniva rimproverato a Callippide [10] ed anche ad altri attori di oggi in che modo se imitassero donne minimo perbene. Inoltre la tragedia produce il suo risultato anche privo movimento, personale come l’epopea, giacché attraverso la facile lettura si manifesta per quel che è. Se dunque in tutto il resto è migliore, ciò a cui si riferisce la giudizio non le appartiene di necessità. In secondo sito la tragedia ha tutto quello che ha l’epopea [15] (e può servirsi perfino dello stesso metro) ed ha inoltre in che modo sua sezione non secondaria la ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera che suscita piaceri nel modo più evidente; e poi la tragedia possiede anche una grande a mio avviso l'evidenza scientifica e fondamentale sia alla lettura sia nell’azione scenica. Inoltre la tragedia è superiore per il evento che il fine dell’imitazione è raggiunto in una estensione più breve [ b] (quel che è più compatto riesce più piacevole di quel che è più diluito nel tempo, dico per modello se si traducesse l’Edipo di Sofocle in tanti esametri quanti ne ha l’Iliade). Ed ancora l’imitazione dell’epopea ha minore unità (ne è prova che da una qualsiasi [5] epopea si possono trarre più tragedie), così che se i poeti epici componessero con un irripetibile racconto, codesto, o esposto brevemente apparirà monco, o adattato alla lunghezza del metro apparirà annacquato. Voglio riferirmi al caso in cui il poema risulti composto da più azioni, come l’Iliade che ha molte di queste parti, e in questo modo l’Odissea – parti che in sé considerate [10] hanno dimensione –; pure questi poemi sono costruiti nel maniera migliore realizzabile e ciascuno è nel massimo livello imitazione di una sola azione. Se dunque per tutti questi aspetti differisce la tragedia ed a mio parere l'ancora simboleggia stabilita per l’effetto dell’arte (giacché debbono produrre non già un gradire purchessia ma quello di cui si è detto), è manifesto che essa è eccellente conseguendo [15] il conclusione meglio dell’epopea. Questo è quanto avevo da raccontare dire sulla tragedia e sull’epopea, sulle loro differenze specifiche e sulle parti e quante sono e in che differiscono e su quali sono le cause del valore positivo e del negativo e attorno alle accuse e alle soluzioni di esse.